IL PIRATA: naufragio alla Scala.

Nel 1992 el sciur Pereira offrì al pubblico elvetico Il pirata di Bellini, cantato da Salvatore Fisichella e Mara Zampieri; il primo celebre per cantare a squarciagola, la seconda per sfilze di suoni stonati e fissi. Erano ovviamente edizioni del titolo belliniano ampiamente tagliate. Proporre l’altra sera sul palcoscenico del Piermarini un Pirata ufficialmente integrale e con quella che si stima da sola essere una grande tragédienne deve essere sembrato al nostro sciur Pereira una operazione culturale di levatura storica. Ma el sciur Pereira stava a Zurigo, mentre alcuni di noi nel 1987 frequentavano viale Montenero e trascorrevano qualche giorno di vacanza a Martina Franca dove venne offerta la prima esecuzione integrale e, per molti versi attendibile nella parte del tenore, del titolo belliniano. In occasione della diretta radiofonica, allora, Rodolfo Celletti spiegò che nessuno poteva riportare in scena Giovan Battista Rubini o Mario, o la Grisi, o la Pasta, ma si poteva offrire al pubblico quel modello di eleganza, dolcezza ed impeto nel contempo che era stata la peculiarità del cantante e dell’interprete Rubini. Per cominciare proprio dal tenore l’altra sera in Scala abbiamo ascoltato un cantante di mezzo carattere, dalla voce né bella né brutta in natura, poco proiettata e sostenuta dalla respirazione e che stentava ad espandersi nella sala, incapace di realizzare, almeno in parte, le cospicue indicazioni dello spartito. Indicazioni che vanno dal “tenero”, “languido”, “dolcissimo”, “espressivo”, “con impeto”, “con vigore”, con “furore”, perché come scrisse il Panofka la voce del tenore bergamasco era capace di far vibrare tutte queste corde. Vi sono poi da aggiugere, come Piero Pretti sia ricorso, per cercare di portare a casa la pelle, ad aggiusti ed accomodi che rivelano l’incapacità e l’antimusicalità sua e, soprattutto, di chi stava in buca. Abbassare all’ottava nel da capo una frase non è eseguire una variazione ma uno squallido rappezzo. Degno compagno e parente del semplificare i pochi passi vocalizzati presenti nelle code delle cabalette o, peggio ancora, spezzarli perché il fiato non regge, per tacere poi del vezzo di scontarsi qualche battuta di canto vocalizzato per esibire un ingolato e duro do alla chiusa dell’aria del secondo atto. Precisiamo che non siamo affatto contrari agli acuti in chiusa delle arie, a condizione che gli stessi siano facili, morbidi e squillanti. Con tali mende naturali, tecniche, di gusto e di preparazione musicale questo Gualtiero è stato inesistente perché l’idea di un protagonista mite e remissivo, un vinto, per utilizzare un’immagine letteraria, sempre siciliana, ma di sessant’anni posteriore, poteva anche essere una buona idea, ligia al personaggio ma occorrevano ben altri mezzi. Giusto per essere chiari Piero Pretti del trio protagonistico era il meno peggio. Riguardo agli altri imbarcati sulla “Provvidenza” dobbiamo dire che hanno fatto naufragio. Nel 1935 Della Corte, su La Stampa del 2 gennaio scrisse: “I recitativi risuonano ben scanditi, quelli sì impregnati di regalità e fierezza e quelli appassionati e straziati. Anche il cantabile rifletté la pietà, l’amore, lo sdegno, il terrore. Ottima anche nella scena del vaneggiamento, benché negligesse un poco le didascalie, la Pacetti…”. Non interessa qui come potesse cantare Imogene Iva Pacetti, interessa però la pregnante individuazione delle esigenze del personaggio Imogene, che l’altra sera sono mancate in toto. Possiamo poi anche fare l’elenco tra urla in alto, suoni tubati e gonfi nella zona grave e nel primo passaggio, la sistematica tendenza a crescere i suoni al primo atto, per il vizio di gonfiarli e spingere, e calare vistosamente al secondo per la stanchezza, tanto da non essere in grado di intonare i la bemolle del cantabile su “al genitor” per dire quanto inadeguata sia stata Sonya Yoncheva in un ruolo che non è affatto il monstrum del protagonista maschile, ma l’ordinario nell’opera del primo trentennio dell’800. Agitarsi in scena, smaniare davanti ad un marito indesiderato come le signorine di buona famiglia o le protagoniste della commedia all’italiana anni ‘50, non significa come qualche insipiente ha scritto, essere una diva, ma una essere un’improvvisata (ma la vera descrizione sarebbe il capolavoro di Leoncavallo). Tanti anni fa in televisione, lucrando poi una querela da Rina Filippini Del Monaco, Franca Valeri parlando delle cantanti allora in carriera disse la frase “ste ‘sempie che le vol far le tragiche, le g’ha rovinà tute la Callas”. La verità è che queste cantanti che si dice facciano un sub imitazione della Callas sono in realtà filiazioni del gusto di cantare a squarciagola tipico delle cantanti dell’est che si rifanno al loro più autorevole modello oggi ancora in carriera: Anna Netrebko. Inudibile ed inascoltabile l’Ernesto di Nicola Alaimo, con la voce sorda, vuota e forzata negli acuti, impacciato nel canto di agilità, inesistente nel fraseggio. E sì che la parte di Ernesto, scritta per Antonio Tamburini, che non ne fu affatto contento e che, in minima parte, si rifaceva a due personaggi più tipici del baritono faentino, ossia Maometto II ed Assur, è davvero elementare e facile. Giustamente “saccagnato” di fischi dal pubblico al termine dello spettacolo Riccardo Frizza, della cui specializzazione belcantistica non abbiamo mai capite le ragioni, e che non sa trovare a questi titoli né una cifra né creare un’atmosfera. Con questi maestri di bacchetta l’orchestra scaligera suona sistematicamente male e siccome Bellini mette alla frusta legni ed ottoni potete immaginarvi che cosa ci è toccato sentire l’altra sera. Eppure questa orchestra è la stessa che la sera successiva ha suonato con impegno e diligenza e qualità di suono sotto la guida di un direttore che il Corriere della Grisi reputa essere un vero direttore: Daniel Harding.
Quanto all’allestimento, travolto dai fischi, c’è da dire che abbiamo visto di ben peggio. Quello che però è sempre, insostenibilmente identico, in queste supposte nuove produzioni, è la cifra complessiva, o per meglio dire la sua assoluta mancanza e l’inesistente rapporto con il testo da mettere in scena. Il signor Sagi e i suoi collaboratori propongono per l’ennesima volta la solita scatola vuota, fatta di pareti riflettenti e parchi elementi di arredo, che sembrano prelevati da un magazzino Ikea (e probabilmente lo sono), e “arricchiscono” il tutto di proiezioni evocanti ora cieli tempestosi, ora paesaggi innevati (più adatti alla campagna di Russia che non alla Sicilia, medievale o d’altra epoca), fino al ridicolo estremo delle scene conclusive, impreziosite dal monumento funebre (di gusto piuttosto pacchiano) di Ernesto, eretto a tempo di record, e dall’immenso velo nero, immagine della disperazione di Imogene, che avvolge l’intera scenografia quasi fosse un’installazione di Christo. Ma non sono queste caccole di dubbio gusto, e neppure i costumi, adatti a una Traviata o a una Vedova allegra di paese (davvero pacchiano, in particolare, il primo abito della protagonista, adatto alla nubenda di una famiglia di arricchiti del Meridione), a costituire l’elemento peggiore dello spettacolo, bensì l’incapacità del regista di suggerire ai solisti e al coro un gesto che vada oltre la convenzione e che si adatti, magari, a quanto evocato dalla musica. Per essere spiani, quando entrano i cavalieri di Ernesto non dovrebbe entrare un branco di finanzieri o di becchini, ma un drappello di baldi cavalieri, ringalluzziti dalla recente vittoria. Allo stesso modo, la pietosa castellana che si reca a porgere conforto ai naufraghi non dovrebbe agitarsi e smaniare come un’ossessa, ma esprimere, per l’appunto, la pietas e la malinconia che si confanno al personaggio e che libretto e musica impongono. A disturbare non è tanto la bruttezza del risultato, insomma, quanto la distonia e la mancanza di coerenza e senso della proposta complessiva, musicale non meno che scenica.
Morale: quando si fanno di questi spettacoli, si può anche non avere la perfezione che lo spartito imporrebbe, ma non si può dare al pubblico una produzione dove tutto ha un vago sapore di provinciale, imparaticcio e di improvvisato all’ultimo momento, e non la cifra di una produzione dove tutto può essere discutibile, ma sempre al massimo delle possibilità di quello che è uno dei grandi teatri della storia dell’Opera.

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54 pensieri su “IL PIRATA: naufragio alla Scala.

  1. Frizza é un battisolfa quanto alla yoncheva non l’ho mai sentita più scordata sembrava un violino messo in cantina da anni e preparato e messo a suonare all’ultimo minuto. Ecco la chiave sembravano un gruppo di appassionati di canto che si erano riuniti una sera della serie che facciamo? Cantiamo il pirata!

  2. Ero presente alla prima. Spettacolo molto atteso da chi, melomane come il sottoscritto, non vedeva l’ora di poter riascoltare il capolavoro belliniano nella speranza di poter aver individuato anche una protagonista di livello. Purtroppo qualcosa non è andato per il verso giusto..o forse piu’ di qualcosa! Sgombriamo subito il campo parlando dello spettacolo: innocuo, trovate viste e riviste, si è visto di peggio anche se non si può tacere dell’assenza di regia vera e propria dimandata piuttosto ai singoli protagonisti (che funziona per carità se hai attori nati sul palcoscenico) e costellata di trovate spesso da dramma esagitato (ma non si vuole fare un dramma borghese tra nobildonne e nobiluomini?). Direzione, slentata, soporifera e alla fine ci si domanda se abbiamo assistito ad un’opera di Rossini (diretta malamente) vista l’assenza benché minima del lirismo di cui dovrebbe essere intrisa la partitura belliniana. Quanto al terzetto dei protagonisti…Alaimo in un disagio parecchio evidente, senza volume, un buffo rossiniano capitato lì per caso. Pretti ha faticato parecchio, parte parecchio azzardata per lui e conseguenza di una scelta artistica fuori luogo. Da ultima la protagonista: emulatrice palese (e malamente) del modello callassiano, intubata in basso, calante in alto, stonata nel passaggio con urla qua e là al posto degli acuti. Potrebbe avere anche materiale interessante (stile Netrebko ovviamente), ma arriva alla follia stremata e onestamente credo che prima di approdare a certo repertorio sarebbe servito parecchio altro studio in fatto di tecnica. Per dovere di cronaca la serata è stata accolta da timidi applausi nel corso della rappresentazione, al termine sonore contestazioni per Alaimo, Frizza e Sagi, calorosi applausi per i due protagonisti (sebbene la protagonista sia caduta a terra inciampando sulla buca del suggeritore…forse troppa emozione?). Segnalo con estremo disappunto come la maschere fossero raccolte a gruppi attorno ai contestatori (numerosi e non isolati come ho letto sulla recensione di un noto inviato) per evitare forse che i dissensi potessero arrivare ai radioascoltatori collegati (si dava la diretta). Episodio gravissimo, che esprime maleducazione, cafoneria del personale del teatro..che dovrebbe piuttosto zittire il continuo chiacchericcio di turisti capitati lì per caso e totalmente disinteressati anziché la legittima e doverosa reazione di un pubblico appassionato e pagante!

    • i contestatori erano tanti perchè come diceva il nostro amico Tino se fischiano in quattro sono quattro poveri scemi, se fischia il loggione si sente eccome. E venerdì sera erano in tanti i fischiatori. Con il sottoscritto non ci provano e per le dimensioni e per la professione e perchè sanno che potrebbero anche prendere una pedata nel sedere, ben meritata perchè quello non è il loro compito e se sussistono estremi per reati penali devono chiamare le forze dell’ordine. Con me ha provato a pedinarmi il sciur Pereira in persona e mentre pedinava gli hanno tamburato il suo bel don Pasquale. Questo perchè non sono il buatore solitario.
      Quanto allo spettacolo è la prova di quanto questa dirigenza (e non solo questa ma quelle che si sono succedute null’ultimo quarantennio) poco capisce di opera e nulla di opera italiana del primo trentennio dell’800. Gli unici spettacoli azzeccati di questi titoli furono l’assedio del 1969 (e son quasi 50 anni) e la donna del lago dove qualcuno spiegò al direttore che quei cantanti (Blake e Dupuy in primis) andavano accompagnati senza rompere tanto. Ma loro due erano e restano ad onta della damnatio memoriae che su rai tre è costante fuori classe ed arrivarono preparati alla perfezione, esemplari come sempre. Il pubblico e chi ci giudica preconcetti fischiatori e contestatori dovrebbe ricordarsi che sono esisti i Blake, i Merritt, le Dupuy, e prima di loro le Gencer, le Horne, le Scotto, ovvero cantanti che erano artisti, ma prima di tutti preparati e pertinenti a quel che facevano.

    • Io sentii anni fa a Torino una Semiramide diretta dal M. Frizza e me ne ricordo come una delle più noiose esecuzione rossiniane di cui ho memoria, pur essendoci un buon soprano ed un buon basso, ed a prescindere dall’orrida messa in (o)scena di provenienza pesarese (c’è il sospetto che nella patria del Cigno, da qualche anno a questa parte – la Semiramide firmata De Ana nel 1992 era tutt’altra cosa – abbiano delle idee da T.S.O. (id est tedeschizzanti…. ma non era “il tedeschino”?) per quanto attiene al modo di mettere in scena le sue opere serie…
      Poi che pazzia è metter su “Il pirata” senza disporre di un tenore alla Blake? Blake che alla Scala non è stato invitato a cantare tale opera, che, invece, ha cantanto nella provinciale Iesi:
      https://www.youtube.com/watch?v=Uw1Y4T4MGiI
      Averci uno come Fisichella oggi, poi, sarebbe una manna dal cielo!

        • Al Regio di Torino abbiamo avuto la fortuna di ascoltare Blake per più o meno un 15 anni. Era diventato il vero beniamino del pubblico torinese in chiave di tenore. Personalmente credo di essermi purtroppo perso solo l’Elisabetta Regina d’Inghilterra con cui aveva esordito (con grandissimo successo) a Torino sotto la bacchetta di Ferro e la regia di De Bosio, assieme a Cuberli, Dessì e Savastano (c’è il video).
          C’ero al fenomenale Barbiere del 1987 diretto da Campanella con Serra, Pola, Dara e Montarsolo in cui tutti noi del pubblico ci siamo quasi spellati le mani a furia di applaudire. Dopo il “Cessa di più resistere” veniva giù il teatro. Poi lo avevo sentito in altre due edizioni del Barbiere, nell’Italiana in Algeri (Campanella, Pizzi, Valentini Terrani, Alaimo, Dara, Spagnoli), nella Cenerentola (Campanella, De Simone, Mentzer, Dara, Spagnoli, Pertusi), nel Conte Ory (Campanella, Savary, Pendatchanska, Corbelli, Pertusi) che mi pare aveva sostituito, non ricordo più perché, una originariamente prevista Semiramide con anche la Manca di Nissa.
          Non mi ricordo se avesse cantato altro.
          Oltre che un grande tenore, Mr Blake era pure una persona simpaticissima, molto disponibile i suoi ammiratori (lo ricordo sorridente e pronto alla battuta all’uscita artisti del teatro), e molto ben visto dai colleghi e da chi si trovava a lavorare con lui in teatro, un vero grande serio professionista (me lo hanno riferito fonti dirette ed attendibili). A differenza di altri lui ha saputo ritirarsi in tempo, preferendo farsi rimpiangere che compiangere.
          Io sono contento di averlo sentito più volte dal vivo.
          Uno dei tre tenori più strepitosi e fenomenali che abbia potuto sentire “live” a Torino (gli altri 2, Pavarotti e Kraus).

  3. Ho ascoltato i brani su utube che avete citato nei post ieri e oggi: non conoscevo ‘Il Pirata”, ed e’ una bella opera veramente.
    Quanto all’affrontare un ruolo da Blake senza essere Blake, che dire… vanitas vanitatum et omnia vanitas…

  4. Io ho ascoltato il pirata alla radio. Si vero, sul alcuno punti i cantanti non risultavano del tutto precisi ma le parti non sono certo delle più facili. In tutta sincerita ritengo che non sia stato un fiasco tale da come leggo nell’articolo, soprattutto frizza che non ha diretto male, poteva curare forse più i colori, questo l’unico appunto, e anche Alaimo, la cui unica pecca è stata un canto forse un po’ impostato, a mio giudizio però non ha cantato così male. Mi pare, senza voler male a nessuno, che le critiche erano già presenti nelle persone già la mattina del 29 dal tono con cui sono state dette.

    • Rispondo, ma in effetti Donzelli ha già chiarito nella recensione come l’autentico “cavolo amaro” dell’opera sia la parte del tenore, non certo quella del soprano e tanto meno quella dell’antagonista. Sarei curioso di sentire la registrazione radiofonica perché dubito che, solo grazie a Marconi, Frizza possa essere risultato altro che meccanico e bandistico (salvo poi inventare quel capolavoro di comico involontario e assoluto nadir musicale della produzione che è la compunta entrata dei seguaci di Ernesto). Sarei anche curioso (e lo dico ahimè senza ironia, ma perché il dettaglio mi illumina su quanto le parole abbiano ormai perso qualunque significato oggettivo) di capire in che cosa consista il “canto un po’ impostato” di Nicola Alaimo, la cui voce vuota e sorda, oltre che malferma nell’intonazione, è piuttosto la negazione di quella impostazione che dovrebbe essere la cifra distintiva del canto professionale. Infine, più che interrogarsi sul presunto carattere preconcetto delle critiche, mi chiederei quale risultato sperassero di ottenere coloro che hanno convocato questi esecutori per un titolo del genere.

      • Ammetto innanzi tutto di non essere un grande esperto, malgrado ascolti l’opera da una vita e abbia una certa predilezione per Bellini. Riguardo il tenore credo che in parte Pretti si salvi sul registro medio ma risulti incerto su quello acuto. Riguardo il baritono con “canto un po’ impostato” intendevo un cantare sostanzialmente meccanico che non valorizza del tutto gli accenti straordinari di Bellini. Non credo tuttavia, a mio modesto giudizio, che la sua voce risulti essere vuota e sorda. Frizza credo si sia incentrato sul rispettare quanto scritto da Bellini e non quanto tramanda la tradizione del Novecento. Io concedertei una discreta sufficienza sia al direttore che al baritono. Infine credo che la direzione abbia ragionato per analogia presentando cantanti che abbiamo già cantato importanti ruoli belliniani (la Yoncheva con Norma, Alaimo con Riccardo nei Puritani) o comunque autori a lui coevi nel caso di Pretti e Frizza. Concludo riprendendo quanto detto prima una buona sufficienza allo spettacolo la darei, mi riservo comunque la facoltà di cambiare idea il 14 luglio che lo vedrò di persona anche se con Roberta Mantegna come Imogene. Penso inoltre che tale spettacolo abbia lo stesso ruolo della gazza ladra della scorsa stagione: aprire la strada alla sfiorata di un repertorio di primo ottocento non di così facile esecuzione ma importate per il teatro milanese e la storia del’opera.

    • Provo a rispondere con un esempio: terzetto (Scena VII, atto 2), Jesi (1984) al tempo 1:33:46
      https://youtu.be/Uw1Y4T4MGiI

      Milano (2018) al tempo 2:03:33
      https://youtu.be/9-TfXa0ckNg

      Ovviamente a Milano tanto tenore quanto soprano si guardano bene dall’acuto in ottava, e lo “rinzeppano” un po’ con una farcitura di vocalizzi.

      Miodio!

      Tenore, soprano e baritono, nonche’ violini e legni, cominciano insieme, e poi naufragano (mai termine fu piu’ azzeccato) in una brodaglia dove ‘ndo coio coio, ognuno va per conto suo. A questo punto non si capisce perche’ il direttore non abbia impostato un ritmo piu’ umano, visto che non riuscivano a stare a tempo.

  5. Io non sono un esperto, ma solo un melomane da oltre trentacinque anni, ho sentito a Pesaro, Bologna e Venezia la Horne, Merritt, Palacio, Blake, Kraus, Studer, il compianto Desderi, e tanti altri, la Caballe sfiancata dell’Ermione pesarese; però lo spettacolo è stato bello tranne Alaimo sfiatato, senza fiato ne voce, che ho anche io fischiato dai palchi, perchè l’opera è giusto che veda tra i suoi fruitori chi ne fa una passione come per il tifo sportivo. Così è per me, il tenore ha portato a casa una partita difficile, su uno zero a zero stiracchiato (a casa mia, che sono bolognese come si capirà dal Nick Name, si dice in dialetto, la sughe un bel bughè), proprio grazie al maestro Frizza. La regia invece a me è piaciuta molto, ma molto, dissento sia dall’impiccione viaggiatore che da chi parla di minimalismo, gli abiti erano molto belli, soprattutto in quella forte dicotomia tra i pirati e i “lealisti”. Non voglio tediarvi con altri sproloqui

  6. Dai presenti alla seconda recita (ieri sera) abbiamo appreso che Sonya Yoncheva ha mollato dopo il primo atto ed è stata sostituita dal soprano previsto per le ultime rappresentazioni. Questo a dimostrazione del fatto che l’arte del canto, come diceva Rodolfo Celletti, non è l’arte della cabala e siccome la Grisi e Donzelli hanno qualche decennio di ascolti alle spalle (pur non essendo decrepiti!) anche stavolta ci avevano azzeccato (diciamo anche che non era difficile). Aggiungo poi che Alaimo è stato pesantemente riprovato al termine della serata. Insomma, assenti la Grisi, Donzelli e gli “infami” il pubblico, ancora una volta, si è espresso in maniera inequivocabile.

    • Comunque a prescindere penso che avesse qualche calo fisico perché così scoppiata non l’ho mai sentita! In ogni caso non sono così d’accordo sull’estrema facilità della parte del soprano che non é Gualtiero ovviamente ma le richieste minime della partitura sono quelle del primo 800 e quindi… Qui é bastato un po’ di stanchezza forse reduce da un abbondante pasto di qualche trattoria lombarda per metterla a tappeto. Quindi a prescindere dalla parte é lei che non é solida.

  7. Presente alla recita di ieri 4 luglio. Poco da aggiungere a quello già scritto soprattutto da Donzelli. Chiaro che un’opera così senza cantanti, direttore, regia all’altezza non si deve fare. Punto e basta. Si potrebbe chiudere qui ogni discorso. Ma visto che l’hanno allestita tanto vale parlarne. Ieri sera poi la Yoncheva ci ha messo del suo finendo per “avere un calo di pressione” (parole di Pereira uscito nell’intervallo ad annunciare che la cantante voleva provarci pur non in forma e poi uscito una seconda volta dopo pochi minuti ad annunciare la definitiva rinuncia e la sostituzione con la Mantegna che, parole sue, “ha comunque fatto le prove”). E la Mantegna, pur dandosi da fare, ha comunque confermato gli stessi limiti più o meno della Yoncheva specie nell’aria finale davvero in difficoltà quasi senza più fiato e con pericolose peripezie per salvare un minimo di impostazione stilistica nel canto. Per il resto, Pretti spaventoso (praticamente la lirica ridotta a musica leggera, anzi alcuni cantanti di musica leggera ci hanno regalato melodie migliori) senza capo né coda (niente fiati, niente stile, niente…). Alaimo l’ha praticamente seguito con urlacci, voce gonfia a voler far risaltare e impressionare quella parte di pubblico impressionabile a simili devastazioni del bel canto lirico. Da ultimo, Frizza da presa in giro ha alternato tempi velocissimi quasi inudibili a tempi da funerale a ritmi “rossiniani” (specie con Alaimo). In tutto questo, Bellini e questa sua opera hanno perso tutta la bellezza musicale e anche recitativa che dovrebbe avere visto per valorizzarla visto anche che è sconosciuta ai più non strettamente melomani.
    Ma ieri sera, ho comunque notato che anche parte del pubblico definito ormai “turistico” della Scala non ha apprezzato perchè le orecchie le abbiamo tutti e quando la musica e il cantare non è piacevole non lo è per tutti. Infine, per non parlare di scene, costumi e regia completamente disconnessi e talora senza senso. In particolare, al di là della bruttezza delle scene (ma come diceva Donzelli siamo abituati a peggio), è proprio la mancanza di correlazione tra musica, canto e azione che è venuta a mancare con assenza completa di espressioni o espressioni inadatte e quasi congelate come se i personaggi non dovessero esprimere i sentimenti provati.

  8. Ieri sera, che tristezza! Pretti con vocina piccola piccola, sugli acuti uno strazio. Alaimo spompato. La Yoncheva, si capiva che qualcosa non andava. Può capitare, pazienza. Ma lo scandalo è stato inserire al suo posto la Mantegna, già scritturata per le ultime due repliche. Dico: è un’impressione solo mia (anch’io da decenni melomane e grande acoltatore, pur senza conoscenze “tecniche” approfondite come Donzelli o la Grisi o altri…), o la ragazza è davvero inascoltabile? Una voce stridula, una totale assenza di colore, di sfumature… Ma se è così, come è possibile che venga scritturata alla Scala. Il solito strapotere delle agenzie? Ieri sera tanti buu, tante proteste. Tra tutte una interessante: qualcuno ha gridato “Pereira a casa!”. Sarà mai possibile che ci vada davvero? Oppure davvero “Tutto alla Scala è burla”?

    • quando non si adatti ad una parte e non si ha la tecnica che alcuni “mistificatori” come la Devia, la Sills, la Gencer, Schipa, la Horne, Ramey e via di seguito avevano si canta di strozza e di gola una sera e poi si scoppia.
      Poi si può anche provare a difendere questi inadeguati cantanti ingiuriando Grisi e Donzelli, ma le ingiurie, purtroppo per Gigi Pansa ed i suoi mentori, non si trasformano in suoni morbidi, rotondi e sul fiato.

    • Io infatti ero indeciso se acquistare i biglietti o meno per questo motivo. I preconcetti non esistono perché se già sai come canta pretti e come dirige frizza le cose sono due o vengono posseduti uno da rubini e l’altro da serafin oppure la sbobba é pronta. poi devo ascoltare certe stronzate di della seta che penso sia una dei musicologi più soporiferi che abbia mai ascoltato e capisco che tutto va verso il fondo. La scala da ristorante stellato é diventata una tavola calda..contento di aver risparmiato i soldi.

  9. Buongiorno! La Yoncheva l’ho sentita e mi è sembrata completamente impreparata. Storpia le vocali e in alto la voce balla paurosamente. Gli acuti sono urla belluine. Le vocali sono artificialmente chiuse (Cöl sorriso d’innocenzö è orribile) per somigliare alla Callas. Il tenore fa ciò che può, cioè niente. Alaimo non solo è sordo, ma emette suoni sempre sghembi, ora calanti, ora crescenti, ora fuori fuoco. Qui non c’è tecnica, non esiste nulla: sono 3 persone che la natura ha dotato di 3 timbri
    (pure poco belli a mio modestissimo parere) che si arrabattano alla meno peggio, arrivando sfatti alla fine. Alla seconda recita la Yoncheva non aveva la prestanza fisica e vocale per portarla a termine (non era né malata né altro; non è possibile essere perennemente fuori forma e malaticci, altrimenti meglio smettere e dirigersi da un bravo dottore!). Tengo a precisare che Imogene non è parte facile (di Gualtiero non ne parliamo!) nonostante possa sembrarlo, poiché prevede un ottimo passaggio di registro, quindi tecnica. Le leggere fioriture Delle arie prevedono canto sul fiato e legato, quindi tecnica. La misconosciuta Anna de Cavalieri in un concerto Rai del 57 fu molto più calzante e brava nella parte. Gualtiero è una sfida e al giorno d’oggi nessun tenore può affrontarlo. Come diceva Taddeo nell’Italiana in Algeri “Meglio il fiasco che il lampione” .Pereira non stupisce neanche più e penso che questa frase sia divenuta il suo mantra personale.

  10. Ok, ho capito: il “Pirata” e’ stato una schifezza. Sul fatto che “un’opera così senza cantanti, direttore, regia all’altezza non si deve fare” (cit. Dulcamara) ci sarebbero anche considerazioni filosofiche da fare, perche’ ahime’ nel mondo moderno internet, google et similia hanno instillato la balzana idea che tutti possano sapere e fare tutto a questo mondo. Ahi beati tempi in cui Scarlatti riconosceva la superiorita’ di Händel all’organo: ma parliamo di Domenico Scarlatti e di Georg Friedrich Händel, non del sciur Pereira e di Frizza.

    Parlando invece di cose serie: che edizione CD del Pirata mi consigliate, da inserire nei miei begli scaffali, fra la Norma con la Callas e “Il Viaggio a Reims” con Luciana Serra? Ho cercato, ma non ho trovato nessuna edizione con Rockwell Blake (lacrimuccia…), ne ho trovate due con Montserrat Caballe’ (una 1967 con tenore Flaviano Labo’, e una EMI Classics con tenore Bernabé Marti). Donzelli parlava anche di un’edizione a Martina Franca: di solito le opere piu’ belle di Martina Franca vengono poi registrate su CD, e’ questo il caso?

    PS dalla brutta esperienza piratesca alla Scala, ci tirera’ su di morale di sicuro la Cocorita Impazzita con la sua memorabile Cleopatra: non e’ che organizziamo un tour “Corriere della Grisi” con tanto di raganelle e vuvuzelas? Pregusto gia’ la futura, memorabile esecuzione di “Da tempeste il legno infranto”…

    • Ho dei lontani ricordi di ascolto delle due edizioni con la Montsy.
      Quella diretta da Capuana con Cappuccilli e Labò dal Maggio 67 ha dei tagli; Labò non ha molto lo stile, ma ha la voce e si difende, dato che era uno che sapeva cantare. In un vecchio libro sui grandi spettacoli del Maggio si vede cosa erano la regia di Bolognini e le scene di Tosi: una vera meraviglia, quindi tutt’altra cosa rispetto alla messa in oscena scaligera.
      L’altra, sempre con Cappuccilli e con Raimondi, purtroppo ha come Gualtiero il consorte della Senora, el muy estimado Senor Bernabé Marti che è semplicemente inascoltabile. Evidentemente si era guadagnato la parte di protagonista per soli meriti maritali.
      Di Blake sul tubo era disponibile anche un’edizione video di 25 anni fa circa che dovrebbe venire – credo – da St. Etienne o comunque da qualche parte in Francia; scene veramente brutte, Blakce veramente grande.
      C’è un’edizione in CD diretta da Viotti con Aliberti, Frontali e Neill che dovrebbe essere integrale.
      C’è poi una più recente edizione di Opera Rara con Giannattasio, Bros e Tezier diretta da Parry. Non l’ho mai sentita, ma – da un recensione che ho letto – dovrebbe essere più che integrale, comprendendo la scena finale originaria “La tua sentenza udisti ” dopo l’aria e la cabaletta di Imogene “O sole ti vela”.
      C’è poi l’incisione RAI anni ’50 diretta da Rossi con Picchi, De Cavalieri e Monachesi, tagliatissima, ma con cantanti che sapevano cantare o, almeno, sapevano arrangiarsi a dare un senso a ciò che facevano anche se non riuscivano a fare tutto quel che avrebbero dovuto fare.
      L’edizione di Martina Franca con Aliberti, Morino e Surjan diretta da Zedda l’avevo sentita per radio tanti anni fa; da una piccola ricerca ho visto che dovrebbe essercene un video:
      http://www.operapassion.com/dvd8279.html

      • ricevo oggi pomeriggio una Newsletter esilarante dalla Scala, oggetto: “Grande successo per Yoncheva e Pretti ne Il pirata” , e non sto scherzando… tralasciamo questo capolavoro di improntitudine e andiamo oltre.
        Per Acheloo:
        la Caballè del 67 era in stato di grazia, Labò si difende in una parte certo non per lui da professionista e un Capuccilli fuori parte riversa sul pubblico una bellissima voce e inciampa ogni volta che ci sono due note di coloratura ( faceva lo stesso nel Roberto Devereux con la Gencer, ma questo è un altro discorso…), ma tra Labò e Marti certamente è da preferire il primo; non conosco l’edizione Opera Rara ma data la serietà dell’etichetta direi che dovrebbe essere un edizione completa e ben preparata (a prescindere dalle qualità o presunte tali dei protagonisti),
        per quanto riguarda Il Pirata di Jesi dell’84, o lo trovi su YouTube o lo trovi qua: http://premiereopera.net/?s=pirata+jesi&post_type=product
        ciao

      • L’edizione diretta – molto bene – da Viotti (pubblicata da Berlin Classic), purtroppo non è integrale, mancano, infatti, alcune riprese nelle cabalette e, se non ricordo male, ci sono piccole sforbiciate in un coro e in un paio di recitativi. Una manciata di minuti, certo, ma particolarmente spiacevole visto che nel complesso è una buona edizione. Molti più di quella di Opera Rara che è diretta in modo assai pesante ed il cast delude molto. La presenza della scena finale originale (sparita subito dopo la prima) e poco più di una curiosità in quanto musicalmente insignificante: un paio di minuti di accordi grossolani e frasi cadenzali.

  11. naufragio compiuto ieri sera (6 luglio)
    teatro semi vuoto, pochi anche i turisti;
    spettacolo disarmante! produzione cartonata
    regia inesistente, trovate da circo con sali a scendi
    di enorme e inutile catafalco che vorrebbe fare cosa
    è mistero… per non dire nulla della scenografia
    costumi al limite del grottesco …chi porta un puff e chi lo toglie …
    dopo aver assistito ho capito la ragione delle bordate
    di fischi a regia , e direzione sentiti per radio.
    Sonia Yoncheva ha regalato al pubblico stecche di ‘memorabile memoria ‘ dell amata Ricciarelli di fine carriera , scende nel registro basso che quasi sembra
    un contralto e poi via a squarcia gola quel che viene viene..tutto cantato ‘forte’ non c’è mai un colore un legato …e non parliamo di agilità perchè si è sentito
    di tutto…
    un brutto timbro guarnisce il tutto e tanto per non farci mancare nulla , recitazione sguaiata

    Pretti indisposto, visibilmente incapace nel sostenere un ruolo fuori dalla propria portata di ‘fuoco’ – ‘fuocherello’ con tanto di intervento (sempre sobrio e garbato) del sovrintende che ha dovuto annunciare l indisposizione dello stesso che ha cantato il 2^ atto
    seduto e due/tre toni sotto ,tagliando tutto …ma proprio tutto.
    non ci siamo fatti mancare nulla con tanto di siparietto
    del signor pereira che ha battibecato col pubblico con la solita grazia
    nel gridare a chi ce l’aveva più grosso tra lui e il pubblico …”vergogna…grida qualcuno…si vegogni lei”
    risponde sciur pereira che stile !!!
    ah !!Alaimo canta/parla ?! altro mistero di un ‘giovane’ baritono che dovrebbe affrontare con una certa scioltezza invece talvolta afono e comunque ben allineato alla mediocrità dello spettacolo.
    Il direttore che è bene ricordare dovrebbe tenere il tutto ben assemblato e far filare via lo spettacolo , si limita a dare i tempi e per grazia ricevuta nello sfacelo della serata l orchesta suona bene
    ma tanto non basta a presentare un titolo importante
    e carico di aspettative
    si esce con l amaro in bocca e con una certa delusione
    per aver buttato 50euro per una produzione che ne valeva 5 di euro e sempre spaesati dal trovarsi in Scala o meglio dal non ritrovarsi più in questo teatro.

      • Forse tre toni sotto e’ effettivamente esagerato (una terza e’ un intervallo oggettivamente enorme, la differenza fra un soprano e un mezzosoprano): diciamo che un tono sotto (un bel si invece di un do) si sente molto bene comunque, ed e’ un rappezzo che uso in chiesa quando ghe xe e vecie che no riva. Ecco, che lo usi un tenore della Scala fa un po’ specie…

      • Francescopera ti hanno già spiegato tecnicamente cosa signigifichi un tono sotto…essendo stato seduto in prima gallaeria prima fila, ti assicuro che se non erano 2 toni sotto almeno 1 e mezzo.. poi se vuoi ti spiego cosa vuol dire ‘ha tagliato tutto’
        e non stiamo parlando di lavori di sartoria …!

        • Ma come è possibile?? Ma si rende conto di quel che dice? Se lui avesse abbassato anche solo di un semitono tutti avrebbero dovuto farlo, compresi coro e orchestra. Lo sa che non è possibile, vero? Non si può fare! Altrimenti il tenore canta in una tonalità, mentre il resto del cast e l’orchestra in quella scritta. Uscirebbe un Pirata alla Berio, con due tonalità diverse che sono “eseguite” in contemporanea. Quando si abbassano le arie le parti d’orchestra sono state precedentemente trasportate nella nuova tonalità. Non ho bisogno che mi si spieghi cosa vuol dire abbassare di un semitono o di un tono. Faccio questo mestiere da anni. Lei ha l’orecchio assoluto e sa che ha abbassato di in tono e mezzo? Allora la Yoncheva è diventato un mezzo soprano, Alaimo un basso e il basso cantava note che non sono nemmeno immaginabili. Per favore, se non avete le conoscenze adeguate evitate di scrivre fesserie che è meglio per tutti.

          • Confesso di capire poco questa polemica. Per quanto ho verificato l impressione di un aggiustamento l’avevo avuta x la cavatina di sortita. Poi con la registrazione ho verificato. Il dubbio di un accomodo derivava dal fatto che il suono “basso” di posizione e di fatto non immaschetato inducevano all’ errore. Poi è ben vero che Pretto ha maldestramente ritoccato perché trasporti pRo paro all’ ottava o La terza li ha sconveniente mente distribuiti

          • Insomma, la tecnica della trasposizione e’ arcinota in musica fin dai tempi antichi: Bach stesso scrisse due Magnificat, uno in mi bemolle e uno in re maggiore, per un’orchestra e coro come quelli della Scala non penso che sia un problema aggiustare una singola aria di un semitono o di un tono intero!

        • Non stavo contestando il fatto che non si possa traspore. Nelle parti di tantissime si trovano già le due versioni trasportate (Bohème, Barbiere, Norma…), Ma il fatto che è una cosa che non si decide in un intervallo a causa di una indisposizione. Non è immediato trasportare a prima vista una parte orchestrale. Tutto qui, per questo sostengo che Pretti abbia trasportato a causa dell’indisposizione: se lo ha fatto era già deciso. Tutto qui.

  12. Insisto nel pensare la colpa è in gran parte dovuta a direttori d’orchestra senza coglioni e senza dignità capici di trangugiare stonature regie demenziali e imposizioni delle agenzie di cantanti senza batter ciglio…
    ..

  13. Non credo comunque che Pretti riuscirà ad assicurare tutte le recite….a meno che non voglia sfasciare completamente la voce…certo che ci vuole una bella faccia tosta a creder di poter cantare un ruolo così difficile sia vocalmente sia stilisticamente

    • la faccia tosta è la sua e chi lo scrittura d’altra parte un direttore della scala che risponde ai commenti del loggione non è da scala , ma da ortomercato. Il vecchio verziere, quello della Ninetta portiana è già troppo per lui.

  14. Da un lato è deprimenti che anche la replica del 6 luglio sia andata così male. Da un altro lato, le rimostranze contro Pereira si spera lo facciano desistere dal proseguire con questa lenta demolizione di quello che era il teatro lirico più importante del mondo. Comunque, è sconfortante prendere atto del fatto che certa stampa compia una sistematica opera di falsificazione, come se difendere Pereira e i suoi spettacoli impresentabili rispondesse a “ordini” piovuti da chissà dove. Forse da un CdA che deve difendere a tutti costi l’istituzione? Ma l’istituzione si difende in altro modo, per esempio cercando un nuovo sovrintendente all’altezza del suo ruolo. Comunque, leggete qua che cosa ha avuto il coraggio di scrivere l’ineffabile Panza a proposito della disastrosa performance della Mantegna nella seconda rappresentazione. Chi, come me, era presente, Sto arrivando! bene che è andata in modo molto, ma molto diverso…

    https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/18_luglio_05/scala-trionfo-soprano-riserva-30enne-mantegna-sostituisce-corsa-star-yoncheva-84c657fe-8017-11e8-841c-47290107a48c.shtml

  15. PURTROPPO E PER FORTUNA C’è YOUTUBE
    PER PEREIRONE E FRIZZA C’è AMPLIFON
    Certo che un Direttore d orchestra che digerisce meglio, tragurgita, cantanti così inadatti ed uno spettacolo inqualificabile è un mistero…
    si spiegano i 700 posti disponibili a recita….
    certe cose non si vedeno né sentono neanche in provincia oramai
    Marco

  16. ora, un teatro che a seguito di un fiasco conclamato come questo manda in giro una newsletter dove si dice di: “Un trionfo personale per Sonya Yoncheva ” che: “Squillo e tecnica eccellenti permettono a Pretti di superare ogni ostacolo vocale” non fa marketing, fa un opera di distrazione di massa.
    Alla terza recita il tenore “indisposto” canta da seduto? e il teatro non ha dei doppi? Non è un teatro serio.; e me ne frego di quanto difficile sia la parte, mica li ha costretti nessuno a mettere in scena un opera così, senza contare che ha perfettamente ragione Billy, un direttore non accetta, non deve accettare certe cose e poi ….Pereira che ogni due per tre arringa la folla dal proscenio….ma per favore dove siamo ? al circo massimo?….

  17. Nel settore privato solitamente se un manager non fa guadagnare l’azienda viene buttato fuori senza tanti discorsi. Qui magari fosse una questione di trasporti, un ritorno così importante e nel teatro della prima doveva essere fatto con tutti gli onori e lo zelo possibile. Qui l’unica cosa che rimane é il dispiacere perché significa mortificare la musica. Pretti non ha nulla del ruolo, la yoncheva secondo me ha cantato male per problemi di salute perché non l’ho mai sentita così e in norma aveva detto bene, quanto a frizza..

  18. Rispetto a quanto detto tempo fa vorrei fare un po’ di precisazioni. Ormai ieri sera sono stato a vedere il pirata con Roberta Mantegna. Lei a me è piaciuta molto: bella voce chiara, solida negli acuti. Non comprendo perché abbia suscitato così grandi riserve quando ha sostituito la Yoncheva. Piero Pretti come già detto riesce a portare a casa una vittoria di misura con un ruolo che non è affatto semplice. Rispetto il 29 alcuni gorgheggi delle due aire soliste sono stati però tagliati, cosa da nulla però. Nicola Alaimo devo dare ragione a Tamburini, in effetti non ha così tanta voce, non riesce a tenere a lungo la voce e nei pezzi d’insieme si percepisce a malapena. Frizza secondo me ripeto ha diretto bene, certo è su alcuni punti differente rispetto le incisioni del passato però bisogna contare che, come fa lui stesso detto, si è basato uno studio integrale dell’opera al contrario sicuramente di Votto e Rescigno e anche di Gavazzeni e Viotti. La regia in ultima non è stata affatto male, essenziale però carina, la scena della folllia straordinaria secondo me. C’è da confermare una cosa però: l’opera ha segnato la nascita del tenore romantico, su molti punti, però da quando è stata ripresa dalla callas si è sempre confermata, e questa edizione non fa eccezione, come opera da grande soprano.

    • Di esecuzioni di opere con sfalsamenti rispetto alla prima dell’importanza dei cantanti ne abbiamo molte. Ad esempio Norma dove la parti importanti erano ab origine soprano, tenore e basso poi la norma divenne l’opera di soprano, mezzo soprano ( o soprano come il Germania dove sino ai primi del 900 Adalgisa era un soprano d’agilità vedi ad esempio Lehmann Norma, Abendroth Adalgisa) e poi gli altri

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