La settimana di Attila: settima puntata.

Con l’ultima puntata della settimana di Attila abbiamo pensato di proporre alcuni interpreti, vuoi in un caso due assenti nelle precedenti puntate, pur presenti nella prima e più conosciuta incisione ufficiale dell’opera, unitamente ad altri che mai hanno affrontato l’opera in teatro, pur lasciando interpretazioni discografiche di singoli momenti dell’opera.

Iniziamo la nostra rassegna con l’interpretazione che del Preludio ha dato Karajan in una raccolta di pagine verdiane di metà anni 70 con i Berliner Philharmoniker, dal suono pieno è bellissimo, dove il maestro offre un’interpretazione notturna e misteriosa, caratterizzata da tempi lenti e maestosi, ma non privi del senso drammatico dell’opera.

Per quanto riguarda la cavatina di entrata di Odabella abbiamo scelto Christine Deutekom, nell’incisione in studio ufficiale Philips del 1972, e Joan Sutherland, interprete in studio in due diversi momenti della propria carriera delle due arie di Odabella. Della prima possiamo dire come renda molto vivamente l’ideale delle caratteristiche vocali della prima interprete Sophia Loewe, cantante di slancio ed estesa, ma al contempo cantante dalla tecnica molto sicura, per cui Verdi scrive infatti pagine di grande difficoltà vocali, dove alla voce è richiesta a tutte le altezze del pentagramma un enorme controllo del suono. La Deutekom offre una cavatina di Odabella pugnace e di slancio, mai volgare, dove ogni suono è sempre mantenuto quanto più aulico e contenuto possibile, lasciando che il fuoco e il senso di patrio orgoglio della figlia del signore di Aquileia venga reso dal canto. La Sutherland affronta l’aria con uguale slancio, ma rappresenta una dei pochi esempi in cui la cabaletta di Odabella venga variata, senza incappare in baracconate di sorta e, soprattutto, cosa più importante ancora, senza tradire lo spirito della pagina e del personaggio. Nel suo caso potremmo affermare come il modello possa essere stato quello di Eugenia Tadolini, prima interprete del ruolo nella ripresa milanese del 1846. Se ad un primo ascolto a colpire sono senz’altro le varianti e la sicurezza tecnica con cui la Sutherland affronta la pagina arrivando a salire fino a impressionanti sovracuti, a colpire é senz’altro anche come nel suo caso la pagina non sia affatto tradita nelle intenzioni interpretative, a riprova di come certo Verdi possa essere affrontato in modo strumentale senza mancare di slancio e grinta.

La seconda aria di Odabella rappresenta spesso il vero cimento dell’interprete del ruolo, in quanto chiamata ad un esteso uso del legato su una linea di canto che deve sapere anche essere sfumata e varia senza mai perdere il controllo della voce nemmeno nelle salite al do dell’ultima parte dell’aria. Esemplare in questo senso l’interpretazione offerta dalla prima Caballe nel disco di rarità verdiane, dove la voce, ancora bellissima, dà pieno sfoggio di tutte le caratteristiche che l’avevano resa famosa e dove anche l’interprete, spesso generica, con l’ausilio del canto, riesce a rendere il momento scenico della tormentata Odabella.

Il personaggio di Foresto, piuttosto a senso unico dal punto di vista drammatico, è stato però destinatario di due nuove arie scritte da Verdi, la prima in occasione della prima rappresentazione a Trieste, su espressa richiesta di Rossini in favore del tenore Nicola Ivanoff (episodio che si ripeterà per Ernnai e la celebre “Odi il voto”) mentre la seconda aria fu scritta da Verdi per la prima milanese dell’opera, in occasione dell’inaugurazione della stagione 1846-47, dove il tenore previsto era Napoleone Moriani, famoso come il tenore “della bella morte”. Non abbiamo trovato una esecuzione dell’aria scritta per Ivanoff, mentre l’aria scritta per Moriani, che in occasione della prima di questa sera sarà interpretata da Fabio Sartori, è stata oggetto di incisione da parte di Pavarotti in un celebre disco di arie verdiane dirette da Abbado, con risultato al solito un po’ generico nel fraseggio e nelle intenzioni dinamiche, che, in una pagina dal chiaro sapore donizettiano, si vorrebbero più sfumate ed eleganti, a riprova che una voce splendida non è sempre sufficiente se l’interprete non sa come rendere lo spirito di una pagina. All’opposto potremmo dire invece di Carlo Bergonzi, che nelle due tradizionali scene di Foresto non lascia intentata una intenzione di fraseggio, dando sfoggio di un bellissimo legato e di una compostezza esecutiva esemplare, anche quando il suono risulta un po’ opaco come accade a tratti nella parte acuta della tessitura.

Terminiamo con le uniche due testimonianze a 78 giri di brani dell’Attila, ossia il terzetto finale, interpretato in un caso in lingua inglese da Marie Rappold, Karl Jörn e Arthur Middleton e nella celeberrima incisione di Elisabeth Rethberg, Beniamino Gigli ed Ezio Pinza, nei baritonali panni di Ezio. Soprattutto la prima incisione è molto interessante, non solo per le voci luminose e sempre avanti della Rappold e di Jörn, dalla splendida e ampia voce, ma soprattutto per la varietà di dinamica che quest’ultimo adotta nelle sue frasi e più in generale nel terzetto. Splendore vocale che si ripete nell’incisione successiva, dove in tre minuti abbiamo una piccola ma significativa testimonianza di che cosa possa diventare il primo Verdi se affidato a voci tutte avanti e belle come quelle della Rethberg, incredibile per slancio vocale verdiano, di Gigli e Pinza.

Gli ascolti

Giuseppe Verdi
Attila

Pagine scelte

Preludio – Berliner Philharmoniker, Herbert von Karajan
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Prologo

Santo di patria…Allor che i forti corrono – Joan Sutherland
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Santo di patria…Allor che i forti corrono – Christine Deutekom
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Qui, qui sostiamo…Ella in poter del barbaro…Cara patria – Carlo Bergonzi
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Atto I

Liberamente or piangi…Oh! Nel fuggente nuvolo – Montserrat Caballé
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Atto III

Qui del convegno è il loco…Che non avrebbe il misero – Carlo Bergonzi
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Oh dolore! (aria alternativa di Foresto scritta per Napoleone Moriani nel 1846) – Luciano Pavarotti, dir. Claudio Abbado
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Te sol, te sol quest’anima – Marie Rappold, Karl Jörn & Arthur Middleton (1916)
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Te sol, te sol quest’anima – Elisabeth Rethberg, Beniamino Gigli & Ezio Pinza (1930)
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